Come tutelare il posidonieto
Le attività meccaniche come gli ancoraggi portano alla distruzione del posidonieto. L'ancoraggio è oggi una delle maggiori cause di degrado del posidonieto in relazione al notevole incremento della nautica da diporto e alla frequentazione da parte dei natanti di aree marine protette e di grande interesse naturalistico, non solo nel periodo estivo. Eppure questi danni potrebbero essere facilmente evitati con una buona gestione degli spazi marittimi che includa nei processi di pianificazione le regole di protezione degli Habitat marini prioritari.
a. Ancora su Posidonia oceanica b. Tipica aratura causata da ancoraggio su posidonieto
Per ridurre l'impatto diretto dell'ancoraggio sulla prateria di Posidonia oceanica è necessario trovare soluzioni per proteggere meglio il posidonieto senza pregiudicare eccessivamente il godimento della navigazione da diporto. A questo scopo SeaForest LIFE prevede la realizzazione di un piano di gestione degli ormeggi. Grazie al piano, si identificheranno le aree in cui sviluppare nuovi ormeggi, le aree in cui consentire l’ancoraggio e le aree pertinenti in cui applicare le misure di protezione. Sarà l’Istituto per lo studio degli impatti Antropici e Sostenibilità in ambiente marino (IAS) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), in collaborazione con i Parchi Nazionali beneficiari del progetto (Parco Nazionale dell’Arcipelago di La Maddalena, Parco Nazionale dell’Asinara e Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni) a redigere tale documento.
Uno degli aspetti che verranno considerati nel piano degli ormeggi sarà la riduzione di corpi morti dannosi al posidonieto, in passato affondati come zavorre sulle praterie e la rimozione e sostituzione di quelli maggiormente impattanti con tecnologie maggiormente sostenibili.
Mostro spesso gli ormeggi "classici" prevedono il posizionamento di un corpo morto, generalmente costituito in calcestruzzo adagiato sul fondale marino, dotato di un occhiello per fissare la catena o la cime alla cui estremità opposta viene fissato un gavitello di ormeggio (corpo galleggiante in materiale plastico dotato ad ogni estremità di almeno un anello plastico o metallico) a cui ormeggiare l'imbarcazione.
Questi corpi morti sono manufatti di facile realizzazione, a basso costo, che basano la capacità di ritenzione nel peso stesso del corpo morto. Tuttavia, non offrono nessun tipo di garanzia dal punto di vista ambientale e alimentano la filiera della produzione di cementi, che si basa sull’estrazione di inerti a terra, e che è decisamente sconveniente dal punto di vista ambientale. Inoltre, tendono a non assicurare una capacità di tenuta adeguata alle unità di maggiori dimensioni, con il concreto rischio del trascinamento sui fondali dei corpi morti stessi, che può arrecare gravi danni al fondale. A volte, purtroppo, si utilizzano corpi morti decisamente poco consoni, come bidoni riempiti di cemento o si ricorre all’affondamento volontario di altri manufatti allo scopo di assicurarvi gavitelli di ormeggio. Per tutte queste ragioni, tali sistemi sono assolutamente da sconsigliare e uno degli obiettivi del progetto è la rimozione di tutti i corpi morti dannosi dalle Aree Marine Protette (AMP) dei nostri 3 Parchi Nazionali.
Quali alternative dunque?
GLI ORMEGGI SOSTENIBILI
Sono diverse oggigiorno le alternative che si possono adottare perché le imbarcazioni da diporto possano comunque ormeggiare (invece di utilizzare direttamente la propria ancora) a gavitelli ancorati al fondale con strutture a una maggiore compatibilità ambientale. Si può innanzitutto ricorrere a manufatti in cemento “sea-friendly”, a composizione naturale certificata, senza l’utilizzo di additivi chimici miglioratori di resa del calcestruzzo o altri componenti sintetici, e con la presenza di rugosità e micro-cavità superficiali che stimolano l’attecchimento degli organismi marini. In generale questi manufatti devono assicurare la realizzazione di strutture stabili sul fondale marino, essere realizzati in cemento armato ad alta densità (vibrato), per ridurre la disgregazione dei materiali e garantire la maggiore durabilità dei manufatti, nonché facilitare l’attecchimento degli organismi marini, riducendo l’aggressività chimica superficiale del calcestruzzo e rendendola il più compatibile possibile con il PH naturale marino del luogo di posa.
Ovviamente, a seconda del tipo di fondale sul quale si dovrà effettuare l’ancoraggio, esistono oggi tecnologie che permettono di ridurre al minimo gli impatti ambientali sulla Posidonia e su tutto l’ecosistema del fondale marino. Queste tecnologie hanno certamente costi relativamente più alti rispetto a un brutale corpo morto in calcestruzzo, ma la scelta del loro utilizzo permette di compiere un vero e proprio investimento in termini economici. Andando a spendere leggermente di più all’inizio si andrà comunque ad avere un netto guadagno in prospettiva futura perché queste tecnologie evitano la perdita del posidonieto e, conseguentemente, di buona parte del carbonio stoccato da questo habitat.
L’ancoraggio a vite
Si tratta di un sistema di ormeggio a impatto ambientale zero e facilmente rimovibile lasciando inalterato il fondale anche dopo lunghi periodi di utilizzo. L’ormeggio a vite è studiato per i fondali sabbiosi e fangosi e non dà problemi anche in presenza di formazioni di alghe e praterie di Posidonia. Il sistema si compone di uno strumento in acciaio inox, che viene “avvitato” manualmente sul fondo da due subacquei, e dal quale fuoriesce la parte terminale dotata di anello, per fissare la linea di ormeggio desiderata. E’ solitamente accompagnato da uno speciale dispositivo anti-svitamento.
L’ancoraggio Manta Ray
Il sistema Manta Ray è stato messo a punto dalla Marina degli Stati Uniti con la denominazione di “pile-driven plate anchors” (PDPA), ma dopo la privatizzazione del brevetto la società Foresight products di Denver, attuale produttore, ha cambiato il nome in Manta Ray. Le ancore Manta Ray possono essere di varie dimensioni per offrire la scelta migliore in base al tipo di fondale in cui devono essere impiegate e alla trazione a cui saranno sottoposte. Tutte sono dotate di una cuspide a croce con terminale svasato ed ali laterali, anch’esse svasate, per favorirne la penetrazione al suolo. Nella parte posteriore dispongono di un alloggiamento cilindrico per accogliere l’utensile guida del martello percussore e seguirne la direzione di infissione. L’ancoraggio Manta Ray, una volta posizionato correttamente, è inamovibile e non può “arare” il fondale.
Il tassello
I tasselli (spesso a doppia espansione) sono progettati per ottenere degli ancoraggi al fondo roccioso che garantiscano tre condizioni: basso impatto ambientale, sicurezza e ridotti costi di messa in opera ed esercizio. Le teste dei tasselli sono spesso sostituibili in base alle necessità. I golfari (anelli ai quali si fissa la catena o la cima) possono essere rimpiazzati da manicotti, oppure da piastre per ancoraggi. Rispetto ai corpi morti, i tasselli hanno il vantaggio di poter essere posizionati in fondali bassi, ottenendo ancoraggi più stabili e occupando meno spazio.
Infine, un’accortezza fondamentale è quella di affiancare ogni ancoraggio ad una boa jumper o di profondità. Questa è una boa destinata ad essere collocata completamente sott’acqua, ma dall’assetto idrostatico positivo. Il suo utilizzo permette perciò alla boa di superficie o al gavitello ad essa collegata di mantenere sempre una posizione pressoché costante. E, cosa non meno importante, mantiene in tensione la catena e/o il cavo collegati al corpo morto, minimizzando gli impatti ambientali dell’ormeggio sul fondale.
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